Non è facile spiegare cosa è l’ageismo in poche parole, ma ci si può provare.
Si tratta dell’insieme dei pregiudizi, degli stereotipi e delle discriminazioni basati sull’età. Ogni fascia d’età può essere colpita da questa forma di discriminazione, ma sono senza dubbio gli anziani i bersagli più comuni.
Come si manifesta l’ageismo?
Ecco qualche esempio nel mondo del lavoro: non assumere personale al di sopra di una determinata età, o chiedere l’età in un colloquio per un lavoro in cui l’età non è rilevante, o ancora attivare politiche e strategie che danneggino una fascia di età e ne privilegino un’altra, oltre al grande classico, ovvero pensare che gli anziani non siano più produttivi, che non siano al passo con i tempi e che siano, in poche parole, inutili.
Ma anche nella sfera delle relazioni interpersonali l’ageismo si manifesta con grande impatto, quando ad esempio ci si comporta come se gli anziani fossero invisibili, avviati alla demenza, poco svegli, oppure quando si fanno battute rivolte alle persone anziane implicando un loro scarso valore, uno stato di minorità, e ancora quando si ignorano dei bisogni o dei desideri specifici legati all’età, bollandoli come “capricci”, ed infine, ma l’elenco potrebbe continuare, quando ci si approfitta di loro per un qualsiasi vantaggio personale. Un cenno ancora all’atteggiamento più comune e diffuso, ossia quello di considerare la persona anziana come un infante, da accudire certamente, da nutrire e da assistere, tenendolo però escluso dai processi di comunicazione, di socializzazione e di relazione che si instaurano fra persone più giovani.
Prendetevi un paio di minuti per riflettere, per un rapido esame di coscienza, avete assistito a situazioni in cui delle persone anziane sono state vittime dell’ageismo, in cui questi stereotipi hanno preso forma e vita nelle parole e nelle azioni di chi con questi anziani si rapportava?
Magari anche voi qualche volta avete scelto la via più semplice, avete dato espressione a questi luoghi comuni, a queste generalizzazioni, senza pensare che una persona della terza (o quarta) età è un individuo che ha vissuto, maturato esperienza, sofferto e gioito, lavorato, viaggiato, che ha letto e forse scritto, che ha votato, che ha studiato, che si è sempre e comunque guadagnato il diritto al rispetto e alla espressione della sua libertà e della sua individualità. E dopo l’esame di coscienza (da cui peraltro pochissimi usciranno senza macchia!), ecco alcune idee su come combattere il problema!
Decostruire gli stereotipi e rendere consapevoli dell’impatto dell’ageismo e dei suoi effetti negativi sul tessuto sociale: la scuola, i mezzi di informazione, le istituzioni sono assolutamente chiamati a sviluppare strategie in questo senso, ma non dimentichiamo che i grandi cambiamenti partono anche dal basso, e non sarebbe male, dopo il famoso esame di coscienza, modificare alcuni comportamenti, liberare il linguaggio ed il pensiero dai luoghi comuni, educare i più giovani a non basarsi sull’età come metro di giudizio. Favorire attività, interventi e progetti che prevedano la collaborazione intergenerazionale, la conoscenza vera e l’informazione sono armi potentissime contro gli stereotipi!
E infine la politica, che con una legislazione adeguata e con cambiamenti effettivi può ridurre diseguaglianze e discriminazione.
Il progetto “ESSERE DONNA ESSERE ANZIANA INVECCHIARE AL FEMMINILE” dell’Associazione Eva, finanziato da un bando della Chiesa Valdese, mira proprio a questo, a scardinare gli stereotipi legati all’età e a rafforzare l’idea di una vecchiaia vissuta positivamente ed intensamente.